Devo ammetterlo: ho una specie di fissa per i romanzi che raccontano le vite tutte intere. Dal primo ricordo alla morte, dalla nascita all’oblio: mi sembrano percorsi perfetti che si aprono e si chiudono, un piccolo universo completo in cui guardare che ci ricorda che quello che conta non è come nasci o come muori, ma solo come come vivi. Se a questo poi ci aggiungi qualche colpo di genio narrativo da grande maestro, ecco il romanzo perfetto che non lascia indifferente davvero nessuno.
Storia di un corpo di Daniel Pennac è fatto proprio così: è un vero e proprio diario del corpo che un uomo ha tenuto dall’età di dodici anni fino agli ultimi giorni della sua vita e che lascia in eredità a sua figlia.
C’è tutta una vita dentro ma è raccontata attraverso i sensi: la voce stridula della madre anaffettiva, l’odore dell’amata tata Violette, il sapore del caffè di cicoria degli anni di guerra, il profumo asprigno della merenda povera a base di pane e mosto d’uva.
E poi le sensazioni che accompagnano la crescita, il diventare adulti, l’invecchiamento e un diario preciso di disturbi, acufene, ansie, acidità ma anche muscoli felici per una passeggiata o meravigliose avventure del sonno.
Attraverso le pagine, cambia il corpo del nostro protagonista, la sua vita evolve e cambia il modo e la profondità con cui un uomo riesce a comprendersi e a comprendere quello lo circonda. Così Pennac ci regala una storia che è universale perché riguarda la nostra irriducibile essenza di grandiose e vulnerabili creature umane.
Vi lascio con una piccola citazione dal libro:
55 anni, 4 mesi, 21 giorni – Sabato 3 marzo 1979
Certi cambiamenti del corpo mi fanno pensare a quelle vie che percorri da anni. Un bel giorno un negozio chiude, l’insegna è scomparsa, il locale è vuoto, c’è un cartello affittasi, e ti domandi cosa c’era prima, cioè la settimana scorsa.