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Business Dentro Betaworks, l’impresa che ha ricostruito Digg.
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In principio era Digg. Una delle startup più eccitanti di tutta la Silicon Valley. Fondata nel 2004, in pochi mesi divenne sensazionale perché rappresentava un nuovo modo per trovare nuovi articoli interessanti in rete. L’idea era semplice e potente, i lettori cominciarono ad amarla, e la sua Homepage, formata dalle storie più votate dagli utenti, divenne leggenda. Dopo soli 18 mesi, il suo fondatore Kevin Rose, 29 anni, veniva riprodotto sorridente in milioni di copie sulla copertina di Business Week.

Al suo climax, nel 2009, il sito contava 30 milioni di visitatori al mese.

Ma la fortuna, succede, finì. La recessione, alcuni problemi con il management, e qualche upgrade pasticcioso portarono Digg nel baratro. Nel 2012, 3 anni dopo la fondazione, le cose andavano così male che il dominio digg.com fu venduto, per 500 mila dollari. Lo comprò una società chiamata Betaworks. Digg morì.

Ma Betaworks aveva un piano, riportare Digg in vita. Il nuovo, e attuale, CEO di Digg ci dice che i visitatori sono cresciuti da 1,5 a 8 milioni negli ultimi due anni, e il trend è in ascesa.

 La storia del ritorno di Digg ci dice molto di come il web sia maturato negli ultimi 10 anni

Digg non è l’unica società brillantemente defibrillata da Betaworks, è una solo una delle ultime. Ma chi è Betaworks, di preciso? Loro si definiscono uno “startup studio“, come si diceva nella Hollywood degli anni 20. Come un vecchio studio cinematografico, Betaworks mette insieme talenti per creare di continuo nuove startup. Esempi? Tweetdeck, Bitly, Chartbeat.

La storia del ritorno di Digg ci dice molto di come il web sia maturato negli ultimi 10 anni. Creare un sito web con un servizio di massa è sempre stato rischioso, fragile e soprattutto molto costoso. Ma nuove tecnologie e nuovi modelli di business sono cresciuti, si sono affinati, permettendo oggi a società come Betaworks di reinventare Digg in qualche settimana di lavoro.

Digg this

Negli anni 90, la Silicon Valley era ossessionata dai portali. Il mondo, pure. In Italia spopolavano i vari ItaliaOnLine, Arianna, Virgilio. I grandi nomi, per metà giornalisti e per metà algoritmi, fecero fortuna. Parliamo di portaloni come Yahoo, Excite (importato in italia da Telecom), Lycos, Xoom. L’idea di Kevin Rose alla base di Digg, invece, era quella di mettere gli utenti al centro, di dare loro potere. Certo, in quest’era dominata da Facebook o Twitter, sembra una sciocchezza, ma pensate che ai tempi non c’era ancora Lost, i cellulari si piegavano in due e Zuckerberg stava proprio lì-lì per lanciare la sua opera più famosa.

In breve tempo Digg attrasse molti utenti, legali al fatto che potessero avere un reale potere sulle news circolanti ogni giorno in rete. Una volta trovato un contenuto interessante, lo si condivideva su Digg e se abbastanza utenti cliccavano sul pulsante “Digg” relativo a quella news, veniva promosso, scalando la classifica dei contenuti più interessanti, fino alla ambita home page, che significava un flusso di traffico elevatissimo.

Ai blogger tutto questo sembrò una buona idea, e tutti cominciarono a posizionare sui loro siti il Digg-button.

Il mix eclettico di contenuti che potevamo trovare sulla home di Digg includeva di tutto, dai gadget elettronici alla politica. Dal 2007 era più probabile che trovassimo news sulla tecnologia e tutto questo stava stretto a Kevin Rose, che voleva fare di Digg il modo migliore per trovare cose interessanti per ogni tipo di argomento.

Una nuova sfida per un sito basato, da un lato sull’aiuto attivo (e naturalmente gratuito) dei propri utenti affezionati e dall’altro su una grande base di lettori.

Ad un tratto Digg divenne prigioniera dei suoi stessi utenti che, organizzatisi, battagliarono a suon di Digg It! per il controllo della home page. Per respingere questi attacchi, e proporre storie di argomenti più ampi e disparati, si narra che il management truccò il meccanismo di voto per scoraggiare i facinorosi clickatori.

Il nome Digg era diventato tossico.

Kevin e gli altri sottovalutarono di molto il potenziale di Digg. Tra il 2006 e il 2007 si parlò di un’acquisizione imminente, poi mai concretizzatasi perché nessuno era disposto a pagare la cifra richiesta. L’anno successivo, siamo nel 2008, Google era pronta a staccare un assegno da 200 milioni di dollari, ma tutto finì nel nulla.

Il punto più alto della storia di Digg passò. Con la recessione economica, nel 2009, i ricavi precipitarono e la compagnia licenziò 7 impiegati.

L’anno successivo il conflitto tra Kevin Rose e il CEO Jay Adelson portarono all’estromissione di quest’ultimo e ad Agosto 2010 il lancio della nuova piattaforma fu disatroso, tanto da generare una fuga di massa verso il concorrente, Reddit. Ad ottobre gli impiegati passarono da 72 a 42.

Digg era passato, così, da un sistema che dava potere agli utenti e le loro storie, ad un sistema che metteva al centro i siti d’informazione stessi.

Nel 2012, i contenuti erano fuori controllo: l’esercito di Digg che curava e disciplinava tutti i contenuti aveva cambiato casacca, o si era disperso.

Kevin e soci gettarono la spugna e decisero di vendere Digg.

Cominciarono dai brevetti, compreso quello del famoso pulsante Digg It, che cedettero a LinkedIn per 4 milioni. Il Washington Post pagò 12 milioni per il Team degli ingegnieri, per il proprio reparto Social Media. Poi, come Google anni prima, ci ripensò.

Il nome Digg “era diventato tossico” affermò il nuovo CEO Andrew McLaughlin.

Poi arrivò Betaworks, una società di New York, che offrì 500mila dollari per tutta la baracca.

Una corsa contro il tempo

L’offerta fu accettata a giugno 2012: Betaworks doveva correre.

I server di Digg – installati prima che il cloud computing esistesse – costavano circa 250mila dollari al mese. Sarebbero stati spenti, come da piani, il primo agosto.

Rimanevano, quindi, 6 settimane per creare il nuovo Digg. La società stava già lavorando a qualcosa di simile, un sito chiamato News.me per il New York Times, dal 2010. Sviluppatori e designer vennero spostati con l’ordine di creare il nuovo Digg.

Si decise di non rispolverare il sistema di voto degli utenti, l’idea che rese grande il vecchio Digg. La community era diventata troppo aspra e la home piena di spam. Meglio non salvare nulla e implementare un nuovo sistema misto: un software avrebbe scelto gli articoli e degli editor (umani) avrebbero aggiustato il tiro.

Sapete cosa sembra? Già, il vecchio sistema dei “portali verticali” cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo, cioè proprio quel sistema che il vecchio Digg ha, in parte, soppiantato. Quello che oggi è cambiato, però, è l’intelligenza del sistema. Betarowks ha sviluppato un software molto più sofisticato, che miscela una maggiore varietà di fattori, come Twitter, per giudicare quali articoli siano meglio di altri. Questi risultati vengono poi scremati dagli editori.

Così Digg ridiventa l’anti-portale. I vecchi portati erano sistemi basati sullo stipare quante più informazioni possibili in una pagina e, di contro, Digg è un sistema che premia la semplicità.

Internet è rumorosa, troppe news, post, status updates, troppi tweet. Troppo per l’attenzione di una persona sola. La teoria di Digg è creare qualcosa di molto semplice. Il nostro obiettivo è di distillare la noia e tirarne fuori qualcosa che potresti trovare interessante” ha detto McLaughlin, il nuovo CEO.

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 Digg è tornato

Non abbiamo capito di avere bisogno degli editors subito, ma dopo un paio di settimane” ha affermato Justin Van Slembrouck, capo del design. “Avevamo questo prototipo di un sito di notizie generaliste tutto basato sui dati. Era buono, ma aveva qualcosa di noioso. Così abbiamo realizzato di avere bisogno di editor umani“.

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Betaworks assunse David Weiner, un giornalista ex Huffington Post come capo editore. Oggi guida un piccolo team – sempre aiutato dal software – che decide cosa deve essere pubblicato sul sito. Weiner ha dovuto affrontare una grande sfida. Basti pensare che nel 2012 Digg non era ritenuto attendibile, ad essere ottimisti. “Abbiamo affrontato la sfida con ottimismo, con umiltà” afferma. Gli utenti apprezzarono e pian piano il traffico aumentò. Uno dei fattori principali è l’aggregazione di contenuti non main-stream, ma generati da siti di informazioni indipendenti, come Medium.

Da 1,5 a 8 milioni di visitatori mensili. Siamo lontani dai 115 di Reddit, ma per un sito che ha toccato quota zero due anni fa è un grande risultato. E ci sono dei piani per il futuro, soprattutto per raggiungere la profittabilità, e il più emozionante è senza dubbio il ritorno del tasto Digg It.

L’anno scorso Google ha interrotto il suo Reader e il team ha colto al volo l’occasione costruendo un aggregatore chiamato Digg Reader, già usato da un milione di utenti.

Dentro lo startup studio

Definire Betaworks può essere difficile. Assomiglia ad un incubatore. Ma a differenza di un incubatore tradizionale, i dipendenti non sono associati alle startup, ma dipendendo direttamente da Betaworks e vengono soltanto spostati alle singole startup.

Se una startup fallisce, designer, sviluppatori e impiegati vengono ri-assegnati ad altri progetti. Se invece una startup ha successo e lascia il nido, alcuni possono decidere di aggregarsi alla nuova società.

Questo modello funziona, Betaworks possiede ottimi servizi come Bitly, ChartBeat, SocialFlow e Instapaper. Quello che questo modello non ha, è la produzione di startup miliardarie come Google o Facebook. Per darci una misura, il più grande successo è stato Tweetdeck, venduta a Twitter stessa per 40 milioni nel 2011.

Anziché creare una moltitudine di piccole società nella speranza che qualcuna di essa esploda sul mercato, Betaworks crea un consistente flusso di società solide e profittabili. Niente società rivoluzionarie insomma, ma servizi che aiutano milioni di utenti ogni giorno e che generano un minimo profitto.

Un grosso aiuto viene dal cloud computing. Ricordate i 250mila dollari mensili che servivano a Digg per i suoi server? Il nuovo Digg costa decine, non centinaia di dollari al mese. Anche altri aspetti sono migliorati, come i budget delle aziende per l’advertising online.

Web innovation is shifting

Meno costi, strumenti più potenti e modelli di business meno approssimativi hanno permesso a Betaworks di creare molti servizi che hanno molto successo su piccola scala.

Questo tipo di approccio non produrrà il prossimo Facebook, ma ha il potenziale di creare qualcosa di produttivo, interessante, che renda la vita quotidiana più confortevole.

Tutti possono sfruttare il cloud computing e la pubblicità per creare un servizio profittevole. La parte difficile, però, sta nel saper creare qualcosa che le persone realmente desiderano.

E questo dipende dalle buone decisioni progettuali, non dalla tecnologia.

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