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Social Media La guerra di Facebook contro il click bait
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Si torna a parlare di clickbait da quando Facebook ha annunciato un giro di vite al suo algoritmo per combattere i click fraudolenti e penalizzare i contenuti che lo utilizzano. Ma cosa si intende di preciso per clickbait e chi dovrebbe cominciare a preoccuparsi del nuovo algoritmo?

Che cosa significa click bait?

Il significato letterale dell’espressione è “esca per click” ed identifica un contenuto web il cui scopo è unicamente quello di attirare il maggior numero di utenti possibile per generare visite e quindi rendite pubblicitarie. Si intuisce che il click bit può essere basato sul sensazionalismo:

sulla curiosità:

sull’emotività:

sull’indignazione:

ed, in generale, su qualsiasi sentimento che sia in grado di smuovere il lettore quel poco che basta per fargli “aprire” il contenuto.

Lo so, è capitato a tutti di incappare in contenuti del genere e di cliccare e non significa che siamo per forza degli stolti per questo. Il vero problema è che la diffusione di questa tecnica è talmente radicata che non basta analizzare il testo con cui viene condivisa una notizia a distinguere un contenuto buono da uno cattivo perché qualsiasi servizio che produce contenuti online sembra esserne affetta. Con il clickbait, infatti, possiamo essere indirizzati tanto verso un’interessante inchiesta, quanto verso un contenuto scadente che spesso è completamente fuori tema.

Già un paio di anni fa, Facebook annunciò delle modifiche al suo algoritmo che genera il feed personalizzato di ogni profilo. Con l’obiettivo è garantire un News Feed di qualità, popolato da contenuti di valore che le persone abbiano voglia di leggere, apportò due significative logiche con cui dovranno hanno dovuto fare i conti i publisher:

1. Al bando i titoli esca
L’algoritmo penalizza i post che non forniscono informazioni pertinenti riguardo al contenuto del link condiviso nel post e lo fa analizzando due fattori principali:

Il tempo di permanenza sui post che puntano fuori da Facebook. Un click fraudolento molto probabilmente genera un abbandono repentino della pagina perché l’utente non ha trovato il contenuto che cercava. Viceversa, un link “onesto”, si presume, a parte rare eccezioni, genera un tempo di permanenza più lungo, quindi interessa da parte dell’utente, dimostrando affinità tra il contenuto del link ed il contenuto del post.

Le interazioni con il contenuto dopo aver cliccato sul link. Maggiori sono le interazioni con post, maggiore è la probabilità che il post puntasse ad un contenuto che gli utenti hanno ritenuto valido.

2. Link espliciti nei post
Facebook penalizza i link che vengono inseriti come captino ad un immagine, invece di essere condivisi come link. Consapevoli del fatto che un’immagine ha molta più probabilità di essere “aperta” rispetto ad un contenuto testuale, Facebook introdusse il nuovo formato di link in cui l’immagine e titolo sono molto più evidenti rispetto al passato.

Detti così, sembrano metodi poco sensibili a prendere in considerazione casi limite come quello un servizio che produce notizie flash, ma di qualità, che possono essere letti in un tempo breve. Oppure il caso di un post ingannevole che produce un alto numero di interazioni negative da parte di utenti che se ne lamentano. Oppure, ancora, chi ha capito che la brevità del testo con cui si condivide un articolo è un valore nel marasma delle notizie che ci troviamo di fronte ogni giorno.

A distanza di tempo, comunque, Facebook ha ammesso che molte pagine hanno continuato a produrre post ingannevoli. Sembra che Facebook stia categorizzando migliaia di titoli click bait ingannevoli in due insiemi: 1) il titolo non contiene informazioni che aiutino le persone a capire il contenuto dell’articolo (Es. “non crederai mai chi è inciampato ed è caduto sul Red Carpet”); 2) i titoli ingannevoli come “le mele fanno davvero male?” perché fanno credere al lettore di essere di fronte a nuove importanti novità.

Il nuovo sistema funzionerà come una specie di filtro antispam e segnalerà i domini e le Pagine che ne fanno uso. Di conseguenza Pagine e domini perderanno rilevanza all’interno del News Feed e Zuckerberg promette che vedremo cambiare la nostra timeline e che i furbetti del clickbait vedranno la diffusione dei loro contenuti ridursi nettamente. (Ehi, Huffington Post, correte ai ripari!)

La discussione intorno a questo tema accende i riflettori sulla spietata guerra al click che è in corso da anni, su tutti i fronti. È un problema di contenuti, è un problema di inserzioni, è un problema di giornalismo. Ma è anche un controsenso. Il clickbait ha una motivazione puramente economica. Più visite fanno le mie pagine, più guadagno. E come guadagno? Dal fatto che ci sono aziende inserzioniste disposte a pagare affinché il loro annuncio sia visto dalle persone.

Ok, ma che tipo di persone?

Qui casca l’asino: più si affinano le tecniche di clickbait, più diventa eterogeneo il pubblico che apre quel link. Non c’è targeting, non c’è proliferazione, non c’è costanza, non c’è interesse, non c’è tempo di permanenza sufficiente sulla pagina. In due parole, non c’è nessun buon motivo che possa convincere gli inserzionisti ad esporre il proprio annuncio su quelle pagine.

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