Quest’anno alla StartUp School, l’evento made in Berkeley che ogni anno accoglie e raccoglie personaggi guru del firmamento 2.0 e wannabe di tutto il mondo, ha chiuso ieri i battenti dell’unica giornata – il 24 ottobre – di discussioni, nella quale icone come Jason Fried (Ceo di 37signals), Biz Stone + Ev Williams (founders di Twitter) e Mark Zuckerberg (founder di Facebook) hanno confessato alla platea umori, impressioni, early stages (lo sapevate che l’idea originale di Twitter era centrata sugli SMS e per tale motivo i caratteri sono 140?) e sensazioni legate a quei piccoli o grandi capolavori a cui si sono dedicati, fino alla nausea, tavolta.
L’intervento che essenzialmente ho gradito maggiormente è quello di Chris Anderson, editor di Wired.
Il freemium, sul web è un modello possibile (ed aggiungo, pienamente funzionante) perchè nella old economy – o, semplicemente nella offline economy – regalare muffin per proporne la vendita signifca sostenere un costo considerevole per ogni muffin prodotto e “regalato”.
Nella web economy è possibile regalare il 90% dei propri digital-muffin senza sostenere alcun costo.
Gli user che non pagano per il servizio, in tal modo, non sono semplicemente una zavorra per il sistema, pur impiegando risorse per cui non pagheranno. Ci pensano, al sostentamento conomico, gli utenti che pagano per l’uso del servizio. Attiviamo quindi l’auto-livellamento, in modo che quest’ultima minoranza sostenga l’intera base-utenti.
What will people pay for? They will pay to save time. Younger people have more time than money. Older people have more money than time.
Anderson ci indica poi alcuni modelli condivisi per supportare l’offerta Freemium:
Ovvero erogare agli utenti un servizio utile funzionante. Possono poi, in qualsiasi momento, eseguire l’upgrade per sfruttare tutte le feature che il sistema offre. Questo significa, però, lavorare molto su feature addizionali necessarie a creare la scalabilità dei pacchetti offerti.
Un modello usato, ma poco efficate.
Es. limitare il numero di megabyte di storage.
Un software funzionante per una base utenti ridotta (come un piccolo workteam), a cui è possibile aggiungere nuovi posti.
Anderson cita il caso Microsoft Bizspark a cui possono accedere le startup con meno di 3 anni d’età e un milione di dollari di fatturato. Superati tali limiti si paga. Semplice.
E’ chiaro che tali possibilità vanno miscelate per creare un prodotto subito usabile, efficace e produttivo, anche senza aver richiesto il pagamento per la fruizione dei servizi. E, tra l’altro, il mixed-model è quello che adottano le maggiori startup (o realtà consolidate) come modello freemium-based. Ed è necessario sia prevedere un ritorno dei costi per utente free (o per account) utile a sostenere l’intera struttura, sia il rapporto tra users paganti ed utenti non paganti, in modo da bilanciare risorse del sistema, risorse umane, ritorni economici.
E’ poi utile, a mio avviso, ripartire in modo equo le features del modello fra i tipi di utenti, ipotizzando un 80%-20% nella “spartizione” delle funzioni disponibili ed attivabili, in modo da affrontare le esigenze dei due tipi di utenti in modo concreto. Tutti possono godere del sistema e delle funzionalità offerte, senza che gli utenti free possano aver “paura” che la feature X non possa venir usata per paura dell’inevitabile prompt del “passa al pro”, “fai l’upgrade”, etc. e senza insistere nello sponsorizzare tali prompt.
Bisogna innanzitutto pensare che avendo coscienza di quello che l’user può e non può fare (leggendo le differenze tra i tipi di account) e lasciarlo libero di avvicinarsi ai limiti del suo account usufruendo liberamento del servizio, e solo in quel momento proporre l’upgrade alla “versione Pro”. Pensiamo a Flickr per farci un’idea. Devono pur passare per l’account free, no?