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Tecnologia L’inchiesta sulla vita segreta delle batterie Amazon
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Ad un certo punto ho potuto sentire chiaramente il “pop!” venire dalla mia cucina mentre ero nel mio soggiorno: un pacchetto – ancora non aperto – di pile Amazon è esploso senza che qualcuno lo toccasse, spargendo una sostanza lattiginosa nera sul piano della cucina. Le pile Amazon possono sembrare insignificanti, ma sono uno dei prodotti marchiati AmazonBasics più venduti al mondo. Con oltre 20.000 recensioni (in Italia siamo quasi a 1.800), la loro popolarità sorpassa di parecchio quasi tutti gli altri prodotti marchiati proprio AmazonBasics.

Le pile hanno anche un rating molto alto – allora ho ricevuto un pacchetto difettato? Scorrendo i commenti nella pagina delle batterie alcaline alla ricerca del termine “esplose” mi dice che ci sono dozzine di esperienze come la mia. Una persona scrive che le batterie sono esplose nel tiralatte di sua moglie. Altri hanno avuto giocattoli o altri piccoli elettrodomestici rovinati dal liquido fuoriuscito da batterie difettose. Qualcuno da la colpa alla manifattura, cinese si dice, anche se Amazon scrive senza convinzione nella descrizione del prodotto che le batterie sono “made in Indonesia” ma con “tecnologica giapponese”.

Durante l’ultimo mese ho provato ad indagare sulla vita nascosta di questo semplice articolo, le pile AmazonBasics. Amazon è molto riservata sul suo impatto ambientale e maschera le sue operazioni attraverso una lunga rete di azienda in outsourcing che rendono la sua filiera difficile da ricostruire. Per le batterie AA è la stessa cosa. Il prodotto, come dice la descrizione, è fatto in Indonesia, ma non da Amazon, come ho imparato. La compagnia compra le batterie da un fornitore e le marchia come proprie, ma non ha mai diffuso informazioni sulle fabbriche che producono gli articoli AmazonBasics, ma ha confermato a OneZero da dove vengono le pile AA che tutti abbiamo in casa.

Ogni spedizione economica e veloce ha sempre un costo – per le persone e per l’ambiente.

Anche se ho scoperto dove vengono fabbricate le batterie, non sono riuscito a ricostruire la fonte di estrazione dei materiali, per esempio. La difficoltà nel reperire informazioni sulla catena dei fornitori di ogni singolo componente delle batterie dimostra come le operazioni di Amazon siano fatte appositamente per essere delle black-box. Questa segretezza gli permette di essere competitivamente spietato, avendo prezzi competitivi con spedizioni molto veloci, molto più dei suoi rivali. Questo rende però impossibile ai consumatori più avveduti che si fanno una domanda sull’etica e sulla sostenibilità dei propri acquisti avere una risposta. Al di là dell’indagine sul perché alcune batterie sono difettose (o esplosive), ce n’è una più importante: dove comincia questa storia?

C’è un palazzo bianco, anonimo, in Indonesia, sull’isola di Giava, dove migliaia di operati assemblano meticolosamente le batterie per la Fujitsu, la compagnia che lavora sotto copertura come fornitore AmazonBasics. A differenza dei centri di distribuzione Amazon, dove campeggia enorme il suo logo in nero e arancione, qui nessuno direbbe che si produce uno dei più popolari prodotti AmazonBasics.

Tecnicamente, la fabbrica è della FDK, una sussidiaria della Fujitsu. La si può trovare nella città di Bekasi, sul lato ovest dell’isola, in uno dei centri industriali più vivaci dell’intera Indonesia. Ho deciso di telefonare alla FDK di getto, senza contare che in effetti le batterie sono marchiate come “manifactured by Fujitsu”.

Un impiegato della FDK ha confermato a OneZero che AmazonBasics è un distributore autorizzato per le pile che produce e per regola interna è richiesto che compri almeno 100.000$ di prodotti all’anno. Amazon ha poi confermato a OneZero che la FDK è una delle compagnie fornitrici per i suoi prodotti.

Lo stabilimento Fujitsu a Giava (Google Maps)

Fujitsu è una delle compagnie di informatica più vecchie del mondo: fondata nel 1935 nel Giappone pre-guerra all’interno di una delle famose zaibatsu, di una tra le più grandi famiglie giapponesi, ha commercializzato uno dei primi computer della storia (ed uno dei più venduti in Giappone) ed è rimasta una delle più grandi compagnie al mondo nella commercializzazione di hardware, software ed elettrodomestici. Nel 1989, la FDK si espanse in Indonesia come FDK-Intercallin aprendo un sito di produzione qui e diventando la sussidiaria di Fujitsu per la produzione di batterie al di fuori del Giappone.

Come ci insegna la storia moderna, il Giappone è famoso per il perfezionamento dell’ingrediente segreto per la produzione di batterie: una polvere nera chiamata diossido di manganese, che aiuta l’elettricità a girare nelle pile.

“I giapponesi hanno scoperto presto come fabbricare questo materiale” afferma Jay Turner, un professore di studi ambientali del Wellesley College. Il prodotto ha sempre richiesto un certo grado di purezza del biossido di manganese, che per sua natura è difficile da estrarre senza impurità. “Ma ai tempo della Seconda guerra mondiale, hanno capito come produrlo in una forma così pura da essere meglio di quella naturalmente estratta”.

Tutti gli esperti contattati da OneZero hanno affermato che l’Indonesia, una nazione da 264 milioni di abitanti, non è un grande player nell’industria delle batterie, che è stata lungamente dominata da paesi come Cina, Giappone e Corea. L’investimento di Amazon nel sudest asiatico, tuttavia, è abbastanza particolare.

La FDK ha deciso di non commentare sulle condizioni del suo impianto produttivo in Indonesia. Gli standard ambientali molto permissivi possono essere una delle spiegazioni sulla geografia della fabbrica. Altri siti a Bekasi sono responsabili di documentate fonti di inquinamento, additate come le cause principali di inquinamento dell’aria e del fiume Bekasi. I report di sostenibilità della Fujitsu mostrano che le fabbriche Indonesiane sono tra le più inquinanti della propria filiera. Nel 2016, il sito produttivo di Bekasi ha prodotto 100 tonnellate di rifiuti in più dell’immediatamente migliore produttore, la FDK Energy.

L’Indonesia ha, però, un’altra qualità che è una manna per i produttori di batterie: le sue riserve minerarie.

Fujitsu ha declinato ogni commento sulla fonte di approvvigionamento dei materiali utili alla produzione delle batterie e sull’interesse sui grandi giacimenti di manganese in Indonesia. Non c’è alcun documento pubblico sul dove la società compra i suoi materiali, eccetto per un accordo che dice che non verranno acquistati materiali fonte di conflitto (tantalio, stagno, oro, tungsteno e cobalto) da fornitori che finanziano l’abuso dei diritti umani. Ma gli analisti dicono che aziende come Tesla e Apple, che comprano batterie per molteplici utilizzi, starebbero guardando proprio all’Indonesia come “paese di scorta”. Tesla sta notoriamente pianificando di aprire una fabbrica di batteria nel Sulawesi, proprio mentre il governo Indonesiano sta provando ad impedire l’export di nichel e rame, probabilmente proprio per dare una spinta alle sue fabbriche di batterie.

Grazie alla scheda del prodotto, comunque, sappiamo che le batterie Fujitsu sono fatte usando il biossido di manganese, grafite, zinco e idrossido di potassio. Oltre a questi sicuramente altri elementi meno “tecnici” come carta, nylon, plastica e acciaio. Non è chiaro quali, e in che percentuale, di questi sono riciclati o riciclabili.

“Queste materie non sono tossiche, non inquinano in modo significativo e ledono la salute dell’uomo, e non sono neanche pesantemente regolati dalla legge” dice Turner “Una batteria alcalina è sostanzialmente polvere compressa a forma di cilindro”.

La loro estrazione non è certo una cosa benigna. Il manganese è collegato a vicende di abuso dei diritti umani, violazioni delle comuni regole di sicurezza e lavoro minorile stando a quanto RCS Global, che si occupa di consulenza sulla responsabilità social di aziende ed enti. Il 75% di tutto il manganese estratto viene dal Sud Africa, Cina, Australia, e Gabon ma, come nota RCS Global, non c’è virtualmente nessuna chiara tracciabilità nella catena di fornitura. In altre parole, c’è un’alta probabilità che il manganese venga estratto in condizioni precarie ma è difficile puntare il dito contro una singola azienda che ne beneficia direttamente. Questo perché il minerale passa attraverso molti intermediari, facendo perdere le tracce della sua origine. Naturalmente questo non è vero soltanto per il manganese, ma anche per le altre materie prime.

In sostanza, nessuno fa nulla per arginare i rischi connessi all’estrazione e lavorazione del manganese, afferma la Reponsible Sourcing Network, una no-profit che lavora dalla parte dei diritti umani legati alle condizioni di lavoro. Anche l’estrazione di zinco è legata al problema delle emissioni nocive, producendo anidride solforosa, che può essere tossica.

“Qui da Amazon, ci impegniamo al massimo per assicurarci che i prodotti che commercializziamo siano prodotti nel massimo rispetto delle condizioni di lavoro e dei diritti umani e ambientali, proteggendo la dignità dei lavoratori” ha dichiarato un responsabile a OneZero. “Ci avvaliamo di fornitori che rispettano gli stessi principi e gli stessi devono essere rispettati anche dai fornitori delle nostre sussidiarie”.

La produzione delle batterie diventa sempre meno tracciabile man mano che cerchiamo di risalire nella catena di produzione. Questo è dovuto principalmente alle regole degli Stati Uniti che permettono alle aziende di muovere prodotti praticamente in segreto. E più Amazon si muove verso la gestione completa della sua logistica utilizzando auto, furgoni, aeroplani e navi, la sua logistica diventa sempre più invisibile.

“Amazon è un gigante non perché offre prodotti nuovi e innovativi, ma grazie alla sua logistica” dice Jean-Paul Rodrigue, professore alla Hofstra University che si occupa dello studio di logistica e distribuzione. “Le spedizioni commerciali sono regolate da contratti privati, e Amazon non ha alcun obbligo di rivelare questo tipo di informazioni. Il giornale di viaggio di una nave, però, potrebbe rivelare qualcosa.”

Nel 2015, la nave container battente bandiera greca COSCO Beijing lascia Jakarta, Indonesia, con 410 bancali di batterie alcaline Amazon. Ci vogliono quattro container per contenerle e tutti e quattro vengono spediti dalla PT FDK Indonesia, da Bekasi, con Amazon Fullfillment Service come destinatario. La nave, dopo una breve sosta in Malesia e Singapore, ha attraversato il Pacifico per toccare il porto di Long Beach in California per continuare verso la sua destinazione finale a Seattle, dove il carico viene sbarcato e portato a destinazione ignota.

Queste informazioni emergono dai dispacci portuali, acquisiti da Panjiva, una società specializzata in ricerche sulle catene di fornitura, direttamente dalla polizia di frontiera americana per lo scopo di generare report statistici per i propri clienti. Questa nave è l’unica che Panjiva abbia potuto trovare, probabilmente perché Amazon non è riuscita a nascondere quel documento, cosa che normalmente fa.

L’ultimo tratto del viaggio delle batterie, dal magazzino fino a casa nostra, è ancora più astratto. Sulla confezione acquistata, in piccolo c’è scritto “imported by importer” in spagnolo, sopra l’indirizzo di un magazzino in Messico. Subito sotto, in tedesco, un indirizzo di un magazzino in Lussemburgo.

Amazon possiede 75 centri di importazione e 25 centri di smistamento su tutto il territorio nord americano – una rete così estesa che si può affermare che c’è un magazzino Amazon a meno di 30km per la metà degli abitanti USA, secondo Curbed. A livello globale, Amazon, possiede più di 175 centri operativi e si stima consegni circa il 48% delle spedizioni attraversi il suo servizio di consegna “dell’ultimo miglio”, ovvero Amazon Logistics. Diversamente da UPS o Fedex, che offrono informazioni dettagliate sul tracking delle spedizioni, Amazon Logistics omette ogni dato precedente all’arrivo del prodotto al centro Amazon. Per esempio, quando ho ordinato le batterie, il mio tracking number cominciava con “TBA”, che significa che è stato spedito con Amazon Logistics, ed è possibile risalire soltanto fino al magazzino di Newark, California (il più vicino). Il numero di spedizione, quindi, viene assegnato soltanto dopo che il prodotto ha lasciato il centro di smistamento principale.

Ogni spedizione economica e veloce ha sempre un costo – per le persone e per l’ambiente. Amazon è stata accusata spesso di sottopagare, tenere sotto sorveglianza e di sfruttare i propri lavoratori, autisti compresi. Ad agosto, una notizia su BuzzFeed ha fatto luce sulle condizioni precarie che Amazon impone ai suoi autisti addetti alle consegne next-day. Le sue emissioni di CO2 sono altrettanto scioccanti: secondo alcune stime, le spedizioni Amazon hanno prodotto oltre 19 milioni di metri cubi di anidride carbonica nel 2017, l’equivalente di cinque centrali elettriche a carbone.

Quello che succede alle batterie alla fine della loro vita, è una scelta personale del consumatore. Questa è la fase che a livello ambientale è più delicata, contribuendo al problema dei rifiuti elettronici che sono saliti esponenzialmente nella nostra era tecnologica.

Le pile AA, che rappresentano quasi la metà di tutte le pile AmazonBasics vendute e, circa il 46%. Un dollaro su 10 speso in prodotti AmazonBasics è speso in batterie, e le batterie alcaline stilo rappresentano circa il 4% delle vendite dell’intero brand. Questo posiziona Amazon come una dei principali player nel mercato delle batterie, al di sopra anche di brand conosciuti come Energizer e Panasonic.

“L’aggressività che Amazon ha nel vendere le sue batterie l’ha aiutata a diventare leader nel settore, ma brand nazionali come Energizer o Duracell competono duramente per mantenere il loro share” dice Matt Pace, senior director di 1010data.

Nonostante l’uso diffuso di batterie, alcuni esperti affermano che il loro impatto ambientare è fortemente sottostimato. “L’onere maggiore si trova a monte dello stabilimento di produzione stesso, durante l’estrazione dei materiali grezzi” si legge in uno studio del 2011 del dipartimento di Scienze dei materiali del MIT sul ciclo di vita delle batterie alcaline.

“Di tutte le fasi direttamente connesse alla manifattura delle batterie, lo stabilimento ha l’impatto maggiore, soprattutto dovuto all’utilizzo di energia elettrica” continua lo studio. Le fonti di energia collegate alla produzione vengono nella maggior parte dei casi da fonti fossili: le energie rinnovabili non compongono che una frazione del totale. Se sommiamo l’energia spesa per l’estrazione dei materiali e per la produzione, aggiungiamo l’88% all’impatto ambientale della batteria stessa.

Utilizzando i dati forniti dal MIT, Turner ha pubblicato nel 2015 un’ulteriore studio sul Journal of Industrial Ecology, nel quale si stima che “si impiega 100 volte l’energia per produrre una batteria alcalina rispetto a quanta energia essa stessa possiede”. Se teniamo conto di tutte le emissioni che includono estrazione, produzione e spedizione, l’emissione di gas serra è 30 volte superiore all’emissione media di una fabbrica a carbone di dimensione media.

Per dirla breve: un dispositivo elettronico alimentato con batterie alcaline ha un impatto a livello di CO2 maggiore rispetto ad un dispositivo alimentato dalla rete elettrica, sempre secondo lo studio.

In ogni caso, le discussioni sull’impatto delle batterie sull’ambiente è ampiamente legato al loro fine vita. Molti degli Stati uniti d’America permettono agli utenti americani di riciclarle su base volontaria con appositi programmi di riciclo. Ma, anche se le batterie sono la maggior fonte di inquinamento da metalli pesanti nei rifiuti domestici, negli USA non c’è una legge che li classifica come tossici (o meno) e che quindi ne dispone il riciclo o la raccolta. Specificamente alle batterie alcaline, in USA i vari stati non sono d’accordo sulla pericolosità della loro dispersione nell’ambiente, secondo lo studio del MIT citato in precedenza.

Fujitsu consiglia agli utenti di utilizzare le batterie “a lunga durata” o ricaricabili per ridurre la quantità di rifiuti. Anche se Amazon afferma di avere per il futuro un piano per il ciclo del rifiuti, ad oggi non fa molto per incentivare gli acquirenti a riciclare le batterie esauste. Solo sulla confezione delle batterie ricaricabili c’è stampata l’indicazione sul loro riciclo, anche se afferma che a breve queste informazioni saranno presenti anche sulle confezioni delle batterie usa e getta.

Il problema delle batterie Amazon può sembrare irrilevante rispetto ai recenti accordi che il gigante americano ha firmato con BP, Shell e Halliburton riguardanti il fornire servizi cloud (tramite Amazon Web Services) a queste compagnie, oppure riguardo alle continue discussioni sui diritti dei lavoratori e i contratti miliardari con il Pentagono (che come prossimo fornitore avrà invece Microsoft). Amazon ha però, a settembre di quest’anno, annuncio un ambizioso piano chiamato Climate Pledge dopo che diverse migliaia di impiegati hanno chiesto all’azienda l’adozione di un piano. L’obiettivo è uno di quelli grandi, raggiungere le emission-zero nel 2040 e fare affidamento soltanto su energie rinnovabili già dal 2030. Nascosta nelle pieghe di questo piano si cela il fatto che Amazon ha appena cominciato a gestire la tracciabilità del proprio impatto sul CO2, che risultano circa 44,4 milioni di tonnellate soltanto nel 2018, l’equivalente della produzione di anidride carbonica della Svizzera o della Danimarca. La compagnia afferma che il calcolo comprende la produzione industriale ma il suo report è alquanto generico, accorpando per esempio “business travel” e “manifattura di prodotti a marchio Amazon” sotto la stessa voce “emissioni da fonti indirette”. Unendoli, ha di fatto nascosto quale parte proviene dalle industrie esterne.

La causa dell’esplosione del pacchetto di batterie AmazonBasics è tutt’ora sconosciuta. Un portavoce di Amazon ha riferito che i prodotti sono severamente testati in laboratori indipendenti, per garantire la sicurezza.

La complessità delle batterie Amazon viene nascosta dalla loro grande utilità nelle nostre case, con un ping pong a livello globale di segreti, che Amazon ci tiene a far rimanere tali. “Perché Amazon dovrebbe rivelare i suoi fornitori ai suoi avversari?” “I loro fornitori sono il loro vantaggio” afferma Rodrigue.

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Ciao Metaverso, non è stato un piacere
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La presentazione del primo iPhone è stata un grande bluff (e ci abbiamo creduto)