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DIGITALLY
Social Media Social Media & Brand (in)Consistenti.

Il web 2.0, all’interno della sua ondata rivoluzionaria, porta con sé evidentemente una grande novità: non più solo libero accesso all’informazione, quanto piuttosto libero accesso alla produzione dell’informazione e del contenuto, nella sua accezione più ampia.

La produzione del contenuto si gioca soprattutto sul campo del nostro essere animali politici, nella conferma continua che la nostra esistenza trova nei rapporti interpersonali. La moltiplicazione delle occasioni di comunicazione e produzione del senso ha amplificato soprattutto il numero e la risonanza delle occasioni “ludiche”, legate al divertimento, alle relazioni interpersonali, alla coltivazione di un senso umanistico del nostro essere animali sociali trasposto in rete, di quella joy de vivre di cui si alimentano i grandi social network come facebook, il cui valore fondante è proprio la condivisione, attraverso la vicinanza, del proprio “ego sociale”.

Fin qui niente di nuovo se non per il fatto che tale libertà di accesso alla produzione dei contenuti è garantita a tutti e crea una convergenza straordinaria: i singoli individui come le organizzazioni, l’adolescente ed il presidente degli Stati Uniti d’America amano comunicare utilizzando gli stessi strumenti.

Gli stessi social network, inoltre, sono divenuti facile preda delle aziende ed il loro impiego ha preso posto nei piani di marketing, da quelli fatti con criterio a quelli fai da te.

In corrispondenza di eventi o occasioni in grado di garantire “contenuti ludici”, la produzione di questi contenuti è poderosa ed immediata ed anche efficace perchè in grado di trasmettere con un buon grado di esattezza le intenzioni di chi comunica: le foto di un party in agenzia o una pizza tra collaboratori riesce a comunicare con efficacia i valori di un gruppo di lavoro coeso, che sa coniugare divertimento e lavoro, etc. Questo tipo di comunicazione si caratterizza in genere di due elementi dominanti:
– documentazione doviziosa;
– continuità della comunicazione.

Ancora fin qui tutto molto bene. Eppure a volte l’inghippo c’è.

Quello a cui si assiste con molta frequenza è la sproporzione tra la produzione e la diffusione di contenuti di tipo ludico rispetto a quelli non-ludici, ovvero tutto quello che può essere considerato inerente la sfera degli “affari”, del lavoro, del saper fare e dell’aver fatto.
In occasione di eventi ludici, infatti, è molto facile trovare resoconti approfonditi di party, incontri, cene e cose del genere, apprezzabili non c’è che dire, ma in grado soltanto di agire su una fetta molto ristretta della image percepita dal nostro pubblico. Quella stessa attenzione dedicata a comunicare gli eventi ludici, non trova lo stesso riscontro e la stessa intensità quando si tratta di comunicare altri tipi di eventi-notizie. E questo risulta al quanto paradossale nel momento in cui siamo di fronte ad organizzazioni professionali, che dovrebbero badare prima a costruirsi una buona reputation basata un valori come l’affidabilità, la serietà, la competenza. Il grande rumore intorno ad eventi ludici mischiato all’imbarazzante silenzio riguardo a notizie non ludiche porta ad un paradosso: quegli stessi social network che ci era sembrato potessero aiutarci così tanto nel comunicare un’immagine completa e positiva in grado di garantire una maggiore “consistenza” al nostro brand, rischiano ora di diventare un sipario che si alza su quest’inconsistenza di alcuni, inconsistenza che la comunicazione tradizionale era stata così brava a coprire.

Colpa del registro della comunicazione che i social network ci impongono?

Colpa dei social network che “naturalmente” privilegiano certi tipi di contenuti oppure colpa del fatto che chi produce contenuti non è in grado di garantire una comunicazione orientata alla logica della continuità e persistenza della brand personality?

Sono i social network che spingono verso la difformità tra i contenuti che promuovono e quelli che sono comunemente cardine dalla comunicazione classica? Sono i social network che fanno in modo che si perda di vista l’obiettivo e si finisca prede del marasma del “comunicare a tutti i costi”?

Le “logiche nuove” probabilmente non sono ancora così forti da permetterci di affrancarci da quelle tradizionali? Forse ci troviamo di fronte a brand non ancora maturi o forse, più probabilmente, certi valori d’impresa e la loro coltivazione/comunicazione non hanno ancora fatto, e auspicabilmente non faranno mai,  il loro tempo.

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