Con la loro musica i Beatles hanno definito un’era. Con i suoi scatti, Harry Benson ha definito la loro immagine.
Quando Harry Benson, un fotografo del Daily Express, venne incaricato di seguire i Beatles all’inizio del 1964, accettò l’incarico con riluttanza. Da reporter, era molto più interessato alla notizia che all’intrattenimento. Quando incontrò la band, i Beatles si stavano giusto affacciando al secondo atto della loro carriera che possiamo dividere in tre fasi: tre anni passati a costruirsi una strada verso il divismo; tre anni intensi di tour e registrazioni in studio; e tre anni in cui cadere lentamente a pezzi. Benson cominciò a fotografarli proprio quando la fama globale iniziava a travolgerli. Realizzò immediatamente che non si sarebbe trattato della solita storia come ce ne sono a migliaia nello show-business: il loro successo era una notizia da prima pagina, in un contesto colmo di cambiamenti delicati.
Benson li seguì per 32 mesi. Oggigiorno un lasso di tempo simile verrebbe normalmente utilizzato per un ciclo che comprende registrazione, distribuzione e tour per un nuovo album. Ai tempi, in quei 32 mesi, i Beatles pubblicarono 5 LP, divennero delle superstar in Europa, America, Australia, seguirono unimplacabile programma di esibizioni dal vivo, presero parte a due film, sperimentarono le gioie e i dolori di una celebrità senza precedenti.
A dispetto della loro celebrità, sia la stampa che il pubblico avevano un accesso alla band che oggi sarebbe impensabile. Nessun fotografo fu più vicino ai Beatles di Benson. I Beatles si fidavano di lui e rispettavano la sua professionalità e il suo rifiuto di ingraziarseli in ogni modo. Il suo obiettivo riuscì a catturare la band in ogni aspetto della sua vita lavorativa. Il risultato, pubblicato in un sontuoso libro dal titolo “The Beatles On The Road 1964-1966”, documenta la più incredibile frenesia che il pop abbia mai creato e probabilmente creerà mai.
Era la Beatlemania. E le fotografie di Benson la mostrano in pieno, sia dal lato dei fan che dal lato della band. Negli scatti ritroviamo il caos dei concerti e delle apparizioni pubbliche e sono in grado di catturare la meraviglia e la pazzia della Beatlemania; l’innocenza e l’esperienza di un gruppo la cui enorme popolarità li ha visti quotidianamente immersi in un immaginario di isteria di massa.
Forse la citazione più rappresentativa, presente nel libro, è quella di John Lennon del 1971: “Per essere quello che i Beatles sono stati, ognuno di noi ha dovuto completamente mettere da parte se stesso”. Questa nuova forma di fama era basata su una libertà personale squilibrata che ognuna della parti comprese veramente dopo che era finita.
La sera in cui i Beatles seppero che “I want to hold your hand” aveva raggiunto il primo posto nelle classifiche statunitensi, Benson fu capace di catturare un altro lato del loro carattere. Li incoraggiò a fare una battaglia di cuscini. Lennon rispose che la cosa avrebbe fatto apparire la band abbastanza infantile ma mentre lo diceva stava già colpendo Paul con un cuscino.
Quella sessione non seguì propriamente il metodo di reportage preferito di Benson: “La mia filosofia è sempre stata quella di fotografare quello che vedi.. poi andarsene”. Tuttavia, in quel caso, nonostante l’intenzione di andarsene senza indugiare ci fosse, si dissolse presto e consentì a Benson di catturare questo scatto che contiene tutto ciò che il mondo ha adorato dei Beatles. Le persone ci hanno visto 4 ragazzi felici ed irrefrenabili che si divertono in una camera d’albergo. “Per ogni fotografo, alla fine, c’è un solo scatto che vale”, dice Benson alla fine del libro, “questo è il mio”.
Questa, insieme alla lotta di cuscini, è una delle poche immagini in posa del libro. Lennon ha accusato Benson di aver organizzato questo scatto, affermando che il pugile, che in quanto Muhammad Ali avrebbe potuto competere con i Beatles in quanto a fama, li aveva presi in giro, trasformandoli in giocattoli per farsi pubblicità. Altri raccontano una storia diversa.
Poche band sopravvivono alle pressioni ed ai conflitti della popolarità. C’è la solitudine dei tour, l’inevitabile nascita di nuovi interessi e le relazioni. Mentre il pubblico vedeva nei Beatles un’entità indivisibile anche se problematica, Benson immortalò i primi segni di rottura. Niente mostra come il loro spirito dell’uno-per-tutti/tutti-per-uno si stesse dissolvendo, come la reazione di protesta della band alle parole di Lennon quando affermò i Beatles erano più popolari di Gesù Cristo. Lennon non voleva solo dire che la Beatlemania non aveva confini in quel momento. Intendeva fare un appunto serio sul fatto che i Beatles stavano diventando un oggetto di culto che aveva finito per soppiantare la religiosità tradizionale tra i giovani. La reazione della comunità cristiana fu furiosa e violenta tanto che il loro manager Brian Epstein dichiarò di essere disposto a cancellare il tour pur di far rientrare la polemica. Secondo Benson, Lennon ricevette poca solidarietà dai suoi compagni: “erano cambiati, erano più cinici ed erano in preda al “mal di tour”.
Questo scatto cattura il pandemonio ed allo stesso tempo l’ingenuità di un business che non era ancora diventato un’industria quando la più grande band del mondo suonava all’interno di club – grandi, certo – ma pur sempre dei club. Lo striscione in alto risulta ironico a posteriori: i Beatles stanno uscendo letteralmente e simbolicamente, perché presto avrebbero smesso di fare tour.
50 anni dopo, la loro presenza è indefinita. Durante tutto il periodo Beatlemania, i Beatles parlavano spesso tra loro di caduta: un’inevitabile rovina, un’improvvisa perdita di consenso da parte del pubblico. Al contrario, l’appetito del pubblico si è dimostrato di gran lunga più durevole di quello dei Fab Four stessi, e non è ancora svanito, nonostante il tempo.
Puoi trovare il libro The Beatles On The Road 1964-1966 qui.