Quante sigle mitiche vi vengono in mente quando parliamo di serie tv?
Spesso ci troviamo di fronte ad opere geniali, mix perfetti di racconto, riprese, fotografia, colonna sonora, computer grafica. Sono vere e proprie opere cinematografiche dotate di un valore intrinseco, che va al là del racconto. E noi le celebriamo scoprendo chi sono gli artefici, come sono nate le idee e qualche curiosità.
Non ha bisogno di presentazioni: musica trionfale e un astrolabio di fuoco che compie orbite circolari su un mondo che non è il nostro. Una mappa intricata viene messa a fuoco mentre città e palazzi emergono dal terreno azionati da ingranaggi. Dalle guglie di Approdo del Re alle pareti ghiacciate della Barriera, il volo fragoroso offre una panoramica sui Sette Regni.
Il progetto è stato realizzato da Elastic. In quest’intervista, il direttore creativo Angus Wall, racconta il complicato lavoro che c’è dietro, durato quasi due anni e che ha coinvolto 25 persone del suo staff. L’obiettivo era introdurre lo spettatore già dalla sigla nei vari luoghi in cui è ambientata la storia. Il concetto di spostamento da un luogo all’altro, che è alla base della vicenda e vede in continuazione famiglie, clan e truppe muoversi alla conquista dei territori, alla ricerca di qualcuno o in fuga da qualcos’altro, diventa il leitmotiv anche per la sigla. I più attenti di voi avranno notato che i posti mostrati nella sigla cambiano a seconda del luogo in cui si concentra la narrazione. In questo modo la sigla fa anche un po’ da trailer.
L’instancabile susseguirsi di immagini che incalza sulle note di “You’ve Got Time” di Regina Spektor, è una sequenza di sguardi e dettagli sui volti femminili di vere ex detenute.
Durante le riprese, alle donne fu chiesto di pensare ad un posto pacifico, poi ad una persona che le aveva fatte ridere ed infine a qualcosa che volevano dimenticare.
Da qui nacque un campionario di espressioni, sorrisi e movimenti quasi impercettibili che riesce ad essere molto intenso. Il risultato è stato ispirato da Jenji Kohan, l’autrice della serie, che voleva che la sigla raccontasse non tanto le vicende della protagonista Piper Chapman, quanto il contesto generale della serie: donne – persone – dietro le sbarre con tutto il loro carico di colpe, speranze, paure, ironia.
La sigla è stata realizzata dallo studio Thomas Cobb Group.
Le sagome di Rust e Marty fanno da contenitore alle immagini della Louisiana mentre il duo country Handsome Family canta “Far from any road”. I protagonisti e la realtà in cui sono immersi si mischiano e si confondono. Tutto sa di sporcizia e di sudore, disincanto e perdizione: il ventre molle dell’America. Anche quest’opera è firmata Elastic.
L’idea, racconta l’art in quest’intervista, è venuta fuori quando i produttori della serie hanno fatto presente ai creativi californiani, l’importanza dei paesaggi e dei set che erano una metafora dei personaggi e delle loro lotte interiori. Da qui l’idea di utilizzare le sagome dei protagonisti come finestre sui paesaggi.
Matthew Weiner, autore di Mad Men, voleva una sigla in cui il protagonista Don Draper prendeva il treno per Manhattan, saliva in ufficio in ascensore e si gettava dalla finestra. Insomma, qualcosa di forte e simbolico.
A questo spunto lo studio di design Imaginary Forces, propose di aggiungere un’impostazione visiva ispirata al lavoro di Saul Bass, il celebre designer che ha realizzato immagini mitiche per film come L’uomo dal braccio d’oro, La donna che visse due volte, Anatomia di un omicidio, etc.
La caduta del protagonista tra i grattacieli di New York sulle pareti dei quali vengono proiettate immagini della pubblicità dell’epoca, è più uno sprofondare dentro sé stesso. Il volo sfuma nella sagoma di Don, ora in poltrona a fumare. L’immagine è diventata l’icona di tutta la serie.
Fresca di nomina agli Emmy 2016 nella categoria Main Title Design, la sigla di Vinyl riesce a catturare lo zeitgeist degli anni ’70. Anche questo lavoro è firmato Imaginary Forces che ha avuto l’arduo compito di realizzare la sigla della serie ideata e prodotta da Martin Scorsese e Mick Jagger.
L’obiettivo – raccontano i creativi in una lunga intervista – era riuscire a rappresentare un momento storico attraverso coloro che ne sono stati i protagonisti. La sigla che viene fuori è una sorta di viaggio onirico tra i pensieri di Richie Finestra (il discografico protagonista, una bomba ad orologeria imbottita di alcol e droghe, che tenta disperatamente di salvare la sua etichetta discografica dal fallimento) che con ritmo martellante ci conduce in un contesto in cui musica, sesso, droga, New York si mischiano per creare una festa visiva con l’esuberanza che è propria degli anni ’70. Il tutto sulle note di Sugar Daddy, una canzone originale di Sturgill Simpson, un crooner conosciuto e apprezzato per il suo stile, un rustico mix tra rock psichedelico, blues e country.
I titoli di testa ti ricordano che l’Executive Music Producer è Mick Jagger e tu pensi che tutto torna.