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Cibo Conviene davvero scegliere prodotti senza olio di palma?
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Olio di palma no, olio di palma boh.

La polemica che riguarda il grasso più diffuso nel settore dell’industria alimentare ed in particolare dolciaria, è piena di punti di vista contraddittori.
Da una parte c’è chi sostiene la tesi ambientalista, dall’altra chi classifica l’ingrediente come dannoso per la salute, consorzi che cercano di tranquillizzare le persone attraverso l’informazione, grandi aziende che urlano a pieni polmoni di averlo eliminato dalle ricette ed aziende altrettanto grandi che continuano ad utilizzarlo. In questo marasma, quali motivazioni razionali dovrebbero guidare le scelte di consumo?

Proviamo a capire meglio le ragioni delle parti coinvolte.

Olio di palma: la tesi ambientalista

Le associazioni ambientaliste, capitanate da Greenepeace, sostengono che l’utilizzo massivo dell’olio di palma nell’industria è la causa principale della deforestazione del Sudest asiatico, la regione che è la culla della coltura e del prodotto. Condizioni di lavoro pessime e sfruttamento delle colture e dei terreni, provocano un impoverimento progressivo della popolazione.

Un raccolto, in Malesia

Un raccolto, in Malesia

Il problema è noto da tempo e si può estendere ad ogni tipo di prodotto che, dai paesi del Terzo Mondo, è destinato all’Occidente industriale. Per questo motivo, nel caso specifico, è nata Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo), una certificazione per le filiere produttive che conta di riuscire a garantire olio di palma sostenibile al 100% entro il 2020. Greepeace, tuttavia, la ritiene troppo blanda e sostiene un modello di controllo più severo firmato dal Palm oil innovation group (Poig), adottato in Italia da Ferrero.
Garantire questi standard non è semplice, ma potrebbe essere il modo definitivo e più sicuro di tutelare l’ambiente. In ogni caso la posizione di Greenpeace non è boicottare il prodotto, ma implementare una politica per governare la produzione e scongiurare deforestazione, land grabbing e negazione dei diritti di lavoratori e comunità locali.

Dannoso per la salute?

Su quest’argomento si è scritto di tutto. Provo a fare chiarezza dopo le tante, attente letture. L’olio di palma in sé non è dannoso. Fa male perché, ricco com’è di grassi saturi, viene impiegato quasi dappertutto, tanto da farci superare le soglie raccomandate dagli organismi internazionali e nazionali (Oms, Iss ecc.) per stare in salute. I grassi saturi sono fattori di rischio per diabete, tumori e malattie cardiovascolari. E su questo l’industria alimentare dovrebbe impegnarsi a ridurre la quantità di grassi saturi nei prodotti. In altre parole, non basta sostituire l’olio di palma con altri grassi, bisogna ridurre i grassi. Il vero problema, quindi, non è tanto l’olio di palma ma la qualità dei prodotti industriali e la nostra alimentazione in generale.

Il frutto della palma.

Il frutto della palma.

Da non dimenticare che solo il 21% dell’olio di palma importato in Italia è destinato all’industria alimentare, mentre il restante 79% viene impiegato nel settore bioenergetico, zootecnico, oleochimica, farmaceutico e cosmetico.

Cosa dice l’Unione italiana

L’Unione italiana olio di palma sostenibile è stata costituita circa un anno fa e ne fanno parte Ferrero, Unilever, Nestlé, Unigrà, etc. Lo scopo è promuovere l’impiego di olio di palma sostenibile e coordinare le attività di comunicazione a favore dei consumatori. Sul sito trovate analisi abbastanza approfondite su tutti i temi in campo, sostenibilità, salute, etc. Sì, ma è di parte, direte voi. Ok, ma è una fonte ufficiale, dico io. Leggete qualcosa prima di darvi al complottismo :)

Olio di palma in panetti. L'industria lo ha scelto perché mantiene una consistenza solida a temperatura ambiente

Olio di palma in panetti. L’industria lo ha scelto perché mantiene una consistenza solida a temperatura ambiente.

Chi lo ha eliminato

Ormai non si contano più le aziende che, sotto l’onda d’urto della polemica e la crescente diffidenza dei consumatori, gridano ai quattro venti che i loro prodotti non contengono olio di palma.
Chi non l’ha mai usato, continua a non farlo a maggior ragione oggi e, giustamente, non ci tiene affatto a mischiare il suo nome con il grasso incriminato, è il caso di Gentilini, Friulbaker, Grondona.

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Chi lo ha usato fino a ieri, oggi riformula e lo elimina, come Colussi, Misura e Mulino bianco. Resta da capire con cosa sia stato sostituito e se il nuovo ingrediente garantisca davvero meno grassi, soprattutto se consideriamo che nessuna di queste aziende ha adottato un politica di correzione dei prezzi al consumo: oggi utilizzano un ingrediente più costoso dell’olio di palma, avete notato cambiamenti nel prezzo?

Chi continua ad usarlo

Tutti quelli che non abbiamo ancora sentito rispondere presente al “senza olio di palma!” molto probabilmente continuano ad usarlo. Mi sembra l’atteggiamento più maturo: bandire da un giorno all’altro un ingrediente mi fa dubitare dell’azienda e dei suoi prodotti, più che dell’ingrediente.

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L’ emblematico caso Ferrero la dice lunga. L’azienda è una delle poche ad aver passato l’esame del Poig con risultati migliori rispetto a Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e Pepsi. A dicembre 2015, ha raggiunto il 99,5% di tracciabilità delle piantagioni.
Nonostante questo si è vista attaccare prima dal ministro francese dell’Ambiente, Ségolène Royal che in diretta tv invitava tutti a boicottare la Nutella, poi da tutti quelli che hanno ritenuto inammissibili le dichiarazioni dell’Azienda che sostiene, numeri alla mano, che l’olio di palma di cui fa uso è migliore e sicuro (perché viene da filiera controllata).

Che si fa?

A me sembra che nessuna delle parti coinvolte nel dibattito abbia un punto di vista equilibrato o una soluzione. Potremmo limitarci, nel dubbio, ad acquistare prodotti che hanno eliminato l’ingrediente. Ma se ci pensate un attimo questo non basta: se ci teniamo alla salute o all’ambiente dovremmo chiederci con cosa sia stato sostituito. Si tratta di un prodotto da filiera controllata? Provoca danni alla salute?

Nel dubbio, suggerisco di fidarsi di Aziende che fanno scelte consapevoli, che non aspettano il montare delle polemica per prendere una decisione, che sono almeno in apparenza più trasparenti delle altre.
Quindi se state pensando di rinunciare alla Nutella, decidete prima se vi fidate del sig. Ferrero.

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