Dall’inizio di quest’anno non fanno che susseguirsi voci sull’acquisizione di Twitter, tutte prontamente smentite. Sono stati fatti molti nomi di papabili acquirenti ma uno dopo l’altro, da Microsoft, Google, Salesforce, Disney, News Corp, hanno negato un reale interessamento e la vendita resta un’opzione lontana.
Che Twitter abbia bisogno di vendere, del resto, pare non sia un punto fermo nemmeno all’interno del suo CdA: Jack Dorsey sembra intenzionato a tenersi la sua società mentre il board, stanco delle perdite e a corto di liquidità, vuole vendere.
I problemi che hanno portato Twitter a questo stallo sono noti da tempo: non cresce abbastanza, non guadagna abbastanza.
L’instabilità e l’effettiva mancanza di un modello di business efficiente, accompagnano Twitter dalla sua nascita. Il debutto a Wall Street nel 2013 sembrò l’inizio di una nuova era: chiuse con un rialzo del 72% e le azioni schizzarono a 42 dollari, per sfiorare i 73 nel mese successivo. Ma il declino del valore delle azioni è stato inesorabile: lo scorso maggio valevano solo 14 dollari.
Negli ultimi dieci anni Twitter non ha mai chiuso un trimestre in positivo e i nuovi utenti sono pochi: solo 9 milioni in più ogni mese per un totale di 313 milioni di utenti attivi, persino peggio di LinkedIn (500 milioni di utenti) e lontanissimo da Facebook (1,7 miliardi). Nel frattempo, si fanno più insistenti le voci su probabili tagli al personale.
Eppure nel corso del tempo, Twitter è cambiato: ha introdotto il sistema di inserzioni, ha cercato di mettere una pezza al limite dei 140 caratteri escludendo dal conteggio foto, video e link, ha introdotto gli eventi live, etc. Nonostante questo, paga una crescita scarsa ed un tempo medio che gli utenti passano sulla piattaforma tra i più bassi tra i giganti del social networking (solo 1 ora e 55 minuti in media al mese).
Un colpo importante alla crescita di Twitter viene dai suoi concorrenti diretti come Snapchat che spopola sul versante video e penetra molto più facilmente tra i giovanissimi. Anche dal punto di vista delle inserzioni pubblicitarie, Twitter soffre la scarsezza degli strumenti di proliferazione degli utenti, dovuta alla sua stessa struttura.
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— Twitter (@twitter) July 25, 2016
Un problema reale che Twitter ha sempre sottovalutato è la reale comprensione delle sue logiche da parte degli utenti. Solo un mese fa, la società di Dorsey ha realizzato un sondaggio a tal proposito dal quale è emerso che la maggioranza delle persone, pur riconoscendo il marchio, non sa a cosa serve Twitter. Nel 2016. A 10 anni dalla nascita. La faccenda è davvero preoccupante.
Una teoria interessante è quella sostenuta da quest’articolo su Motherboard: le caratteristiche peculiari di Twitter sono le stesse che ne limitano l’espansione.
Tutte queste condizioni hanno creato il paradosso per il quale Twitter è sì un marchio blasonato, che vale, ma rappresenta una società che non è in grado di guadagnare o almeno di guadagnare abbastanza. Con queste premesse è improbabile che qualcuno acquisti Twitter, semplicemente perché non saprebbe che farsene.
Ma è innegabile che Twitter rappresenti oggi più di un social network: ci sono momenti in cui il suo apporto alla comunicazione o al live streaming è essenziale e profondamente più utile rispetto ai suoi concorrenti. Pensate alle elezioni americane, agli sconti in Siria, agli attentati terroristici, etc. In queste occasioni, Twitter è imbattibile per aggiornarsi, comunicare, seguire gli eventi in tempo reale.
Twitter è un mezzo di comunicazione. Possiamo rinunciare a Twitter? Secondo me, no.
Una proposta estrema viene da Nicholas Negroponte, filosofo e primo direttore del Media Lab del Mit: “Trasformate Twitter in una onlus, con 10 persone di staff e seguite il modello Wikipedia”.
Può essere un’idea.