Girls è arrivato al capolinea: il prossimo febbraio uscirà su HBO la sesta ed ultima stagione della serie TV ideata ed interpretata da Lena Dunham. Diciamoci la verità, la televisione italiana non ne sentirà la mancanza visto che in Italia sono state trasmesse solo le prime due stagioni nel 2012 e nel 2013 da MTV. Poco importa perché Girls merita di essere vista, per quanto irritante si possa trovare la Dunham.
Perché, ammettiamolo, Lena Dunham è irritante. Figlia della New York che conta e di un paio di genitori artisti, ha raggiunto un successo abbastanza precoce ed è considerata oggi una rappresentante del cosiddetto “femminismo mediatico”.
L’abbiamo vista recentemente al fianco di Hillary nella lunga campagna per la presidenza e prima ancora protagonista di diversi “casi mediatici” in cui ha dimostrato di essere in grado di gestire alla grande notorietà, media e temi dal forte impatto, come quella volta in cui si lamentò pubblicamente con Vogue per aver photoshoppato eccessivamente le foto (scattate da Annie Leibovitz) che la ritraevano assieme a Kylo Ren, il protagonista maschile di Girls.
Oppure quella volta in cui dalle pagine di Lenny Letter, la rivista online femminista che dirige insieme alla regista Jennifer Konner, ha raccontato di essere affetta da endometriosi, una malattia che colpisce le donne in età fertile, molto dolorosa e che può influire pesantemente sulla vita quotidiana. Sulle pagine di Lenny, la Dunham ha anche ospitato la protesta di Jennifer Lawrence che lamentava la diseguaglianza tra gli stipendi di attori e attrici a Hollywood.
Se a questo aggiungiamo la disinvoltura che ha sempre dimostrato nel mettere in luce il suo aspetto fisico, abbastanza lontano da canoni comuni di bellezza da copertina, alla Dunham va riconosciuta una immagine pubblica coraggiosa, disturbante, che difficilmente lascia indifferenti.
Quando firmò, giovanissima, con la HBO, le fu proposto di realizzare la serie TV che avrebbe voluto vedere in televisione. Così scrisse Girls che è la storia, ambientata nella grande Mela, di quattro ragazze bianche, benestanti, un po’ frivole, alle prese con tragedie quotidiane di vario tipo, dubbi e rivoluzioni della generazione dei nati negli anni ’80.
Lena Dunham è Hannah e molto probabilmente è vero anche il contrario: si fa fatica a distinguerla dal suo personaggio, giovane aspirante scrittrice, newyorkese, viziata, ebrea, sbadata. Il suo, così come gli altri personaggi principali e minori della serie, non ha niente di eroico. Siamo lontani anche dalle storie delle quattro newyorkesi più famose della TV: griffe e grande amore lasciano il posto ad uno stile crossover metropolitano e a storie a metà, oppresse dall’incertezza sul futuro e dalle ambizioni giovanili tradite. È facile immedesimarsi, ma è molto difficile arrivare a pensare di Hannah “beata lei”, mentre era così facile con Carrie e socie. All’orizzonte, nessuna traccia di MrBig attualizzati o di artisti internazionali che ti portano a Parigi: i personaggi maschili, come tutti gli altri, sono pieni di paure, non sanno bene dove vanno, incerti come la realtà e la sua interpretazione.
Oltre a rappresentare bene i sentimenti di una generazione, al di là degli stereotipi di classe sociale per cui la Dunham si è beccata più di una critica, Girls ha anche il merito di toccare argomenti scomodi, come l’aborto, le dipendenze, il rapporto delle donne con l’immagine del proprio corpo, le molestie sessuali, etc. Sarà anche per questo motivo che la serie TV si è portata a casa due Golden Globes e numerose candidature agli Emmy.
All’uscita di Girls, qualche anno fa, parlando di Lena Dunham, qualcuno la etichettò come una specie di Woody Allen in gonnella. Ebraismo, ironia e New York a parte, trovo che il paragone non sussista: la Dunham è diversa, volutamente grezza, poco amara e un pizzico irritante, in senso buono.