Si dice che Ian Curtis guardasse La ballata di Stroszek da una piccola televisione appollaiata su un mobiletto, quando si uccise. La finestra con le tendine, il tv color legno a tubo catodico. Forse c’erano pure quei maledetti merletti. Quei fastidiosi ammennicoli fatti per non far toccare qualcosa con qualcos’altro, uno dei preservativi intellettuali per le nostre mamme e nonne che forse non volevano che televisione e tavolino, o tavolino e piatto facessero all’amore, non si sa mai. Aveva appena pubblicato con i Joy Division il secondo album, Closer.
Poi si è messo la corda per il bucato al collo. E quella che era la sedia da cui aveva guardato il film è diventata la fotocopia caduta in terra della sua esistenza appesa per aria. Un oggetto fermo sia nel tempo che nello spazio, una vita velocissima che lui ha consumato molto più velocemente dei canonici 27 anni.
I merletti, qualcosa di pudico, asettico e fintamente di buon gusto. Abbelliscono cose palesemente spaiate, probabilmente brutte, sicuramente vecchie. Sono stati allo stesso tempo il canto del cigno e la scintilla di una rivoluzione che di generazione per generazione si è protratta per decenni. La pudicizia della generazione precedente è sempre stata la molla che ha fatto scattare la rivoluzione della generazione successiva. I figli che si ribellano ai padri. L’epoca dei merletti sembra finita, quella delle rivoluzioni, pure.
Per molti Ian Curtis è sempre stato lo spettro di questa filosofia, un enigmatico ragazzetto che ha corso tanto, tantissimo, e che ha fatto della propria rivoluzione un culto che dura dopo quasi quarant’anni.
Mi sembra sempre ironico opporre a tutto questo il nostro modo di vivere a cento all’ora, cioè di scrivere in maiuscolo, rimescolare mode, mangiare verdure al vapore. Ho paura che il mito della gioventù a cento all’ora, del bruciarsi lentamente, non ci sia più. Continuiamo a conservarci mentre 37 anni fa moriva Ian Curtis, in posto molto lontano dal nostro immaginario in cui non ci sono rivoluzioni.
Per ricordarlo, ho sempre consigliato agli amici di ascoltare Unknow Pleasure. Paura, alienazione, disgusto, confusione. Sangue su un muro di cemento. Autentica oscurità di una grande rockstar che ha perso il controllo. Perché scrivere poetiche descrizioni dell’oscurità non è pur sempre poesia?