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Storie La presentazione del primo iPhone è stata un grande bluff (e ci abbiamo creduto)
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I quasi 90km che separano Campbell da San Francisco rendono il tragitto casa lavoro particolarmente gradevole. Ci si trova incastrati sulla Junipero Serra Freeway, una enorme e quasi sempre vuota autostrada che confina con il lato orientale delle montagne di Santa Cruz. È un posto dove è facile venire sorpassati dalla Ferrari di un miliardario della Silicon Valley e dove il cellulare perde spesso la linea. Per Andy Grignon, è anche il posto perfetto dove trovarsi da solo con i propri pensieri, l’8 gennaio 2007.

Non è il tipico commuting per Grignon quel giorno. È un ingegnere senior alla Apple di Cupertino, che si trova proprio ad ovest di Campbell. Il suo tragitto quotidiano è di circa 10km, una quindicina di minuti in tutto. Ma oggi è diverso. Sta andando ad una presentazione tenuta dal suo capo, Steve Jobs, al Macworld, che farà la storia. I fanatici Apple hanno chiesto per anni che nel loro iPod potesse esserci anche un cellulare, così da non avere due dispositivi diversi in tasca. Steve Jobs esaudirà la richiesta. Grignon e alcuni colleghi passeranno la notte in un hotel proprio accanto alla fiera e alle 10 del mattino del giorno successivo vedranno – assieme al resto del mondo – Steve Jobs presentare il primo iPhone.

Guidando verso nord però, Grignon non è affatto eccitato dalla cosa. La maggior parte delle presentazioni in Silicon Valley sono pre-registrate: perché permettere che un problema di connessione la rovini? Ma Steve ha insistito per un live. Perché lui nei live ci sguazza, lo hanno reso praticamente una leggenda e poi non ci sono praticamente mai stati problemi in passato. Per alcuni dipendenti come Grignon che lavorano dietro le quinte, un po’ di stress invece c’è stato e come.

È il manager in carica per lo sviluppo di tutte le connessioni radio nell’iPhone, un grande responsabilità. Gli smartphone fanno un sacco di cose, ma alla fine dei conti sono degli apparecchi a radiofrequenza. Insomma, si occupa di un fattore importante, anzi fondamentale. Se un iPhone non riesce a telefonare oppure connettersi al Wifi, è lui che chiamano, è lui che deve risponderne. Come altri tra i primi ingegneri del progetto iPhone, gli ha dedicato due anni e mezzo della sua vita, lavorando spesso sette giorni su sette.

Raramente ha visto Steve Jobs portare a termine un keynote da 90 minuti senza almeno un problemino. Ha provato per 5 giorni filati e anche l’ultimo giorno di prove l’iPhone ha dato problemi, spesso cadeva la linea durante le chiamate e a volte andava offline senza motivo. Tutto questo quando non si spegneva a tradimento.

l’iPhone dava problemi, spesso cadeva la linea durante le chiamate e a volte andava offline senza motivo. Tutto questo quando non si spegneva a tradimento.

“All’inizio era bello partecipare alle prove, solo una piccola cerchia poteva assistere. Ma subito dopo è diventato spiacevole: raramente ho visto Steve Jobs così sconclusionato. Cioè, è già successo e solitamente dopo ti avrebbe guardato negli occhi dicendoti “Se falliamo, è colpa TUA.” o robe del genere. Cose che sminuiscono. Tutti sapevamo che se questi problemi fossero comparsi durante la presentazione non avrebbe dato certamente la colpa a se stesso. Abbiamo provato la demo cento volte, ma ogni volta qualcosa è andato sorto.”

Il primo prototipo di iPhone

Come sappiamo, i preparativi sono top-secret. Dal giovedì fino al weekend, Apple ha bloccato il Moscone Center dove si terrà – come da tradizione – la presentazione. Nel backstage i tecnici hanno installato un piccolo laboratorio 3 metri per 3 in modo da avere la possibilità di testare l’iPhone. Accanto, il camerino di Steve, e proprio intorno a queste due stanzette, più di una dozzina di guardie su turni da 24 ore. Nessuno senza un ID elettronico verificato e controllato sulla lista che Steve Jobs ha stilato personalmente può entrare o neanche avvicinarsi. L’accesso all’auditorium è blindato. Addirittura, i tecnici delle luci e del suono dovranno dormire lì.

Andy sa che presentare l’iPhone non sarebbe stato come presentare un qualsiasi altri prodotto della mela. Ma nessuno poteva sapere quanto seminale sarebbe stato poi quel giorno. Con il senno di poi, iPhone e iPad sarebbero stati il via ad una nuova era della Silicon Valley, trasformando i semplici cellulari in un’industria enorme, se pensiamo che le sole App hanno generato finora qualcosa come $10mld dal 2008. Tutto ciò senza contare lo stravolgimento culturale. Non è semplice, sostituire di punto in bianco il mouse con il touch. Se ragioniamo sull’impatto che i libri, i giornali, i cellulari, i video game, le macchine fotografiche e i videogiochi hanno avuto, possiamo avere a posteriori un’unità di misura dell’impatto in dieci anni.

È tutti racchiuso in quel giorno. È difficile anche solo considerare l’azzardo che Steve Jobs ha fatto presentando l’iPhone a gennaio 2007. Non solo ha introdotto un nuovo tipo di prodotto mai realizzato da Apple, ma l’ha fatto con un prototipo non necessariamente funzionante. Anche se sugli scaffali non sarebbe arrivato che sei mesi dopo, voleva che il mondo lo desiderasse in quel momento. In tutta verità, la lista di cosa da fare era enorme. Non c’era ancora una linea di produzione, esistevano soltanto un centinaio di iPhone, tutti leggermente diversi fra loro, tutti prototipi. Insomma, la Apple doveva bluffare.

L’iPhone sarà un iPod con un disco sul davanti?

Il software, poi, era strapieno di bug. Poteva riprodurre un pezzo di video, ma volevi guardarlo per intero, era impossibile non farlo crashare. Potevi navigare e mandare una mail. Ma se magari provavi a fare queste cose nell’ordine inverso avrebbe crashato di nuovo. Questo gioco dell’oca in versione software ha fatto sì che gli sviluppatori creassero il “golden-path”, una sequenza di azioni che, ricalcata fedelmente, non avrebbe fatto bloccare il dispositivo, facendolo sembrare perfettamente funzionante. Il giorno dell’annuncio, il software che si occupa della gestione del segnale di Grignon è ancora molto grezzo.

una sequenza di azioni che, ricalcata fedelmente, non avrebbe fatto bloccare il dispositivo, facendolo sembrare perfettamente funzionante

Steve vuole che il telefono demo da tenere in mano abbia un mirrror sullo schermo alle sue spalle. Molte compagnie usava una semplice videocamera che inquadrava lo smartphone, ma per Steve Jobs ciò è inaccettabile, si sarebbero viste praticamente soltanto le sue dita che usavano un cellulare. Così gli ingegneri hanno creato un circuito sul retro dell’iPhone che possa inviare i dati al proiettore e simulare l’uso sul grande schermo. Una cosa mai vista prima.

Altro problema: il software che si occupa della Wifi, quindi sempre sotto la giurisdizione di Grignon, è così instabile che i tecnici hanno deciso di estendere l’antenna con un lungo cavo che arriva sin dietro le quinte. La wifi è nascosta per evitare che “uno dei 5000 nerd seduti in platea cerchi di infilarcisi”. Come hanno fatto? Hanno impostato Airport (il router, ndr) per operare su frequenze del Giappone (che non sono permesse negli USA).

Per le telefonate che Steve cercherà di fare durante la presentazione, non c’era nulla da fare, forse pregare. Hanno fatto portare una centrale mobile da AT&T sul posto per avere una ricezione migliore e poi, con il placet di Steve, hanno modificato le barre del segnale, in modo da mostrare sempre cinque tacche.

“abbiamo modificato le barre del segnale, in modo da mostrare sempre cinque tacche”

Nessuno di questi sistemi grossolani, però, risolve uno dei più grandi problemi del terminale: spesso la memoria (RAM) termina improvvisamente anche con poche applicazioni aperte. Per questo, ci sono diversi iPhone di riserva pronti sul palco. Alla bisogna, la scaletta prevede il cambio-iPhone e il riavvio di quello bloccato. Fatti due conti, Steve farà così tante operazioni durante il keynote che i potenziali problemi saranno più numerosi degli iPhone a disposizione. Figuriamoci poi con la scaramanzia, dopo 12 test senza problemi, sarebbe sicuramente successo qualcosa durante il gran finale, dove Jobs avrebbe voluto dimostrare tutte le top-features da un unico iPhone: ascoltare della musica, telefonare, cercare qualcosa sul web e poi tornare alla musica. “Eravamo oltremodo nervosi” dice Grignon “Con soli 128Mb di ram e App ancora molto grezze e pesanti”.

Steve Jobs non è mai stato alle strette come in questo caso. Tutti lo conosciamo con un grande pianificatore, uno che spinge il suo team all’impossibile. Uno, insomma, che ha sempre un Piano B. Qui, semplicemente non c’è un Piano B.

L’idea che uno dei più grandi momenti della propria carriera lavorativa possa implodere da un momento all’altro solletica l’ulcera di Grignon, manco a dirlo. Dal 2007 lavora con o per Apple. All’università, l’University of Iowa, lui e il suo amico Jeremy Wild riprogrammarono un Newton per farlo connettere ad internet. Anche se il Newton non fu un vero successo commerciale, molti lo considerano il primo vero smartphone (o tablet) e soprattutto la cosa li aiutò a farsi assumere dalla Mela. Wyld finì proprio nel team Newton, mentre Grignon approdò al leggendario reparto R&D nel settore videoconferenza.

Dal 2000 poi si trasferì alla Pixo, una nuova startup fondata da un ex-Apple che si sarebbe concentrata sullo sviluppo di sistemi operativi per cellulari e piccoli device. Quando tutto il lavoro di Pixo finì nel primo iPod nel 2001, Grignon, come per attrazione magnetica, tornò alla Apple.

Da allora, grazie all’expertise ottenuta alla Pixo, è diventato la persona di riferimento per i segnali wireless e per i sistemi di videoconferenza, oltre che per tutto ciò che è wireless, come il bluetooth. Si è sempre mosso in un ambiente che è distante da quello in cui ci immaginiamo lavori un comune sviluppatore. Grignon scrive codice di livello più basico, quello che fa funzionare in modo diretto i chip. Insomma, nel 2004 era piuttosto chiaro che il progetto iPhone dovesse coinvolgerlo direttamente.

Siamo di nuovo nel 2007, Grignon è emotivamente esausto. Ha preso 20kg. Lui e il suo team possono tranquillamente affermare che progettare uno smartphone non è come progettare un tablet o un computer. Tante persone con un ego sproporzionato in così poco spazio.

Ci siamo, parte il keynote. Grignon e colleghi sono incollati in platea. Jobs preme play su alcuni video e su della musica. Poi parte una telefonata (a Johnatan Ive), un messaggio, una mail. La tastiera funziona alla perfezione. Passa alle foto, pinch-to-zoom per poi fare un giretto su sito del New York Times e Amazon e ordinare un caffè dallo Starbucks più vicino trovato su Google Maps.

E se fosse caduta la linea?

Sta andando tutto liscio. Nella quinta fila Grignon e soci si fanno uno shot di scotch alla fine di ogni demo. “La presentazione migliori di tutti i tempi”.

Non male, per essere un bluff.

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