È appena passata in USA la settimana del SuperBowl numero 57 ed in Italia quella di Sanremo, che è più o meno la stessa cosa. Abbiamo trovato molto interessante l’articolo di Vox sulla chicken industry, dato che gli americani hanno mangiato qualcosa come 1,45 miliardi di alette di pollo guardando l’ambita finale tra i Kansas Chiefs e le Philadelphia Eagles.
Solo nel 2020, il consumo mondiale di pollo è stato di oltre 70 miliardi di volatili, una cifra incredibile se consideriamo che nel 1965 erano soltanto 8 miliardi e che l’intera industria che conosciamo oggi è nata per un banale errore di calcolo.
Come anticipa il titolo di questo post, la storia nasce 100 anni fa, nel 1923. Cecile Steel possiede una fattoria ad Ocean View nel Delaware, e come tutti i fattori di quell’epoca possiede qualche dozzina di polli e galline per poterne utilizzare le uova o metterle in tavola. Un giorno, accidentalmente, ordina 500 galline dall’allevamento locale, 10 volte in più rispetto ai soliti 50.
Cinquecento sono un numero esagerato, basti pensare che nei dintorni l’allevamento più grande conta 300 galline. Ai tempi i resi stile Amazon non esistevano, e Cecile decide di tenerli comunque, dandogli mangime e acqua in un granaio grande quanto un appartamento riscaldato a carbone. Quattro mesi e mezzo dopo, 100 dei 500 polli sono morti, ma la fattoria riesce comunque a generare un profitto di 22 dollari al kg per la carne (attuali).
Suo marito, David Steele, lascia il suo lavoro alla Guardia costiera e con sua moglie trasforma la fattoria in un allevamento da 10.000 polli. Il successo della famiglia Steele si diffuse rapidamente e in soli 5 anni nacquero decine di allevamenti in zona non si dedicavano più soltanto alle uova ma al pollame inteso come carne.
Per gli standard attuali, un allevamento da 10.000 polli è piuttosto piccolo: basta pensare che un ogni singola unità di allevamento odierna ospita circa 40.000 volatili contemporaneamente. Se rapportiamo la grandezza dell’allevamento degli Steele e lo inseriamo nel contesto dei ruggenti anni ’20, un periodo di immensa crescita economica negli Stati uniti, ecco che il successo commerciale degli allevamenti avicoli diventa uno standard produttivo. I contemporanei avanzamenti tecnologici sulla refrigerazione e trasporto, la nascita delle grandi catene di supermercati e i finanziamenti all’agricoltura, come si dice, fecero il resto.
È proprio in quegli anni, precisamente nel 1922, che venne scoperta la Vitamina D. La causa di morte principale negli allevamenti era il rachitismo, diffuso soprattutto in inverno quando i polli venivano tenuti al chiuso. Si scoprì essere causato proprio da una mancanza di vitamina D, per una mancanza di esposizione al sole. Questo regolò il numero di volatili che potevano essere allevati in un dato spazio, specialmente nei climi più freddi. Ma quando gli allevatori cominciarono ad integrare la dieta degli animali con la vitamina D artificialmente, la concentrazione degli animali negli stessi spazi subì una drastica impennata e il tasso di mortalità calò.
L’errore di Cecil Steele, quindi, diede inizio all’industria del pollo come oggi la conosciamo.
Nella prima metà del XX secolo, la carne di pollo in USA valeva per meno del 20% del consumo pro-capite. Oggi questo valore è circa il 44%. Nel corso del tempo la carne di pollo venne considerata più salutare della carne rossa, e divenne sempre più economica da produrre e quindi più economica per i consumatori. Sempre considerando i prezzi negli USA, un Kg di manzo o maiale costa dagli 8 ai 20 dollari, uno di pollo circa 2 dollari. È una convinzione, parzialmente suffragata dai fatti, anche qui in Europa.
La fortunata storia industriale del pollo non andò nella stessa direzione della storia degli Steele, che morirono nell’esplosione del loro yacht nel 1940, che comprarono con la fortuna fatta grazie ai loro polli.
Con un mix di coincidenza e ambizione, gli Steele però lasciarono in eredità al mondo la corsa per mettere al centro del piatto americano il pollame, e cambiare per sempre il mondo dell’agricoltura. Nel processo abbiamo piegato i polli alla nostra volontà, spingendo le specie ai loro limiti biologici. È di poche settimane fa un’inchiesta di Report sugli allevamenti di Fileni che vi consigliamo di guardare.
Senza dilungarci sulle origini scientifiche, i polli di oggi sono molto diversi dai loro antenati. Nel 1948 e nuovamente nel 1951, la catena di supermercati A&P, lanciò un contest chiamato The Chicken of tomorrow, finanziato dalla USDA (equivalente del nostro Ministero dell’Agricoltura), con la sfida per gli allevatori di creare e selezionare un tipo superiore di pollo, più resistente e con più carne, per sostenere la richiesta popolazione alle porte della Seconda guerra mondiale.
Su 40 partecipanti, l’allevamento californiano Vantress selezionò la razza che metteva su peso più facilmente. Questa razza sarebbe stata acquisita dal colosso Tyson Foods nel 1974 e poi fusa con la razza Cobb nel 2016, formando la razza Cobb 500, alla quale appartengono il 50% di tutto i polli allevati oggi nel mondo.
Tornando agli anni 20, una spinta fu data anche dalla scoperta della penicillina, antibiotico che andò anche esso ad integrare la dieta dei pennuti, facendoli crescere più in fretta e rendendoli più resistenti alle malattie. Come già citato, le campagne salutiste del governo americano riguardanti il consumo di carne bianca, nonostante il rischio-antibiotici latente, negli anni hanno portato il sorpasso del consumo di carne di pollo rispetto al manzo ed al maiale.
A questo punto, in omaggio alla nostra copertina, non possiamo che introdurre l’argomento dei Fast food. Nel 1983 infatti, McDonald’s introdusse i Chicken McNuggets, in realtà inventati dallo chef francese René Arend (ma questa è un’altra storia), che si basano addirittura su una razza particolare di pollo selezionata dal supplier Tyson Food. Furono subito un successo mondiale, e ancora oggi sono una parte rilevante del fatturato della catena. Nel 2019 gli americani hanno mangiato 2,3 miliardi di porzioni (6 pezzi).
Il pollo ha anche una sottotrama culturale. Emelyn Rude, autrice di Tastes Like Chicken, racconta che nel corso dei decenni, la carne di pollo è sempre stata associata alla femminilità, il manzo alla mascolinità, e lo stesso Ippocrate considerava la carne di pollo adatta alle “persone deboli o delicate”. Nel corso del tempo, il pollame è diventata la carne preferita dai bodybuilder, dato il suo contenuto minore di grassi e soprattutto fonte di proteine a buon mercato. La classificazione quindi, si è completamente capovolta.
Se visitassimo una farm americana di allevamento intensivo, vedremmo capannoni con migliaia di polli ammassati, che camminano nelle proprie feci, ciechi, troppo grassi per reggersi sulle zampe.
I nove miliardi di polli allevati nel momento nel quale scriviamo questo articolo sono figli di una selezione che vede gli esemplari svilupparsi completamente in soli 40 giorni per raggiungere i quasi 4Kg di peso. Uno studio canadese ha illustrato come nei decenni abbiamo spinto la biologia di questi animali fino a farli quadriplicare di peso.
Abbiamo raccontato della “carne che sembra carne, ma non lo è” dell’azienda americana Impossible burger, che propone una soluzione più vicina all’ambiente ed agli animali e lo fa anche con la non-carne di pollo (sempre sotto forma di nuggets) oltre ai classici hamburger. Ma sembra essere un flop.
È di qualche mese fa la notizia che la FDA ha approvato la produzione di carne di pollo coltivata in laboratorio, incassando, tra l’altro, un grande No nel nostro paese.